TRILOGIA DI FOTOGRAFIE
1 - L'ISTANTE PER SEMPRE, IL PARTICOLARE PER TUTTO (B/N)
"…il genio consiste in una illimitata capacità di avere cura dei dettagli" (A. Conan Doyle)
Il massimo possibile della tecnica e dell'attenzione: cercare dentro le cose qualcosa di altro perché solo così è possibile dare un altro valore, scoprire un ulteriore significato, inventare un senso nuovo.
Con l'apparecchio fotografico l'occhio acquista varie forme di libertà.
Usciti volontariamente dalla gabbia del verosimile e dello scontato, possiamo scardinare e deformare i soliti punti di vista, ribaltare le solite proporzioni, immaginare e lasciare immaginare l'osservatore. Quasi in contraddizione con l'acutezza dello sguardo, la scelta del bianco e nero diventa un suggerimento: guardare senza pregiudizi, senza necessità, armati solo di incondizionata curiosità. E qui, è giusto ricordarlo, è la fantasia che deve mettersi in moto, non il desiderio di indovinare, o peggio, lo stimolo a consumare. Perché questa tecnica così raffinata, così professionale, deve prendere accuratamente le distanze dal mondo funzionale e patinato del "prodotto". Antonella usa le tecniche più sapienti, ma le mette al servizio della sua fantasia creativa, del suo guardare e di null'altro. Scelgo quindi di non commentare le singole foto, perché le parole sarebbero incongrue e, di fronte a immagini di questo spirito, anche devianti.
2 - LE EMOZIONI FATTE A MANO (Polaparole)
"La nostra meta non è mai un luogo, ma piuttosto un modo nuovo di vedere le cose" (H.Miller)
In questa serie di foto la Polaroid non è certo un metodo di produzione di istantanee obsoleto e ormai superato dai procedimenti della fotografia digitale, ma è invece un linguaggio che cerca di esprimere qualcosa di originale attraverso l'immagine, e anche di recuperare una tecnica che andrebbe forse perduta per sempre.
Anche in questo caso il momento creativo ha un carattere apparentemente contraddittorio e assurdo: l'immagine istantanea infatti, cercata, vista e trovata dall'occhio della fotografa, viene immediatamente corretta e trasformata, finché la liquidità dell'emulsione lo consente, e così diventa la base per una serie di elaborazioni che, approfondendone o deformandone il senso apparente, la perfezionano, la trasfigurano, la esauriscono. Il processo è più significativo, in termini concettuali, di quanto possa sembrare. Si tratta della negazione del principio di oggettività della visione, che pure è il punto di partenza, e quindi del superamento del valore del fenomeno in sé, in nome di una scelta di qualità altra. Insomma, oltre ai tradizionali canoni estetici disciplinari, come l'individuazione del soggetto, il taglio dell'inquadratura, la composizione e la messa a fuoco, il demone creativo interviene, in questo caso direi proprio "ci mette le mani".
Le parole e il gioco delle parole con le immagini sono una suggestione, un pretesto, quasi un omaggio al suo stile e al suo gusto. La manipolazione ha infatti il senso di un libero gioco: quello che vediamo ha ogni volta il significato che noi gli vogliamo dare. Con strumenti occasionali e semplici, un'unghia, una bacchetta o una matita, Antonella incide, scherza, de-struttura. La materia ancora fluida diventa luce, colore, pittura, e lo spazio si anima, si illumina, si stempera e si fa dolce, sensuale. Le immagini comprendono memorie, analogie, ironie, ipotesi: l'occhio della mente resta orgogliosamente in disaccordo con l'occhio della macchina. E aggiunge.
Ante la foto: il segno è un graffio, incide la superficie e crea profondità, sofferenza, bellezza.
Parole affisse: l'alfabeto si trasforma in colatura, materia, colore, vita.
Parole dettate: la mano e il libro determinano segni, memorie e luci.
Parole scritte: il gioco dei riflessi diventa tattile, concreto.
Parole trasmesse: emergono dal profondo le ombre della nostalgia e i riflessi di vecchi inchiostri.
3 - LE GIOIE
"Tempus fugit"
Mi sembra di poter affermare che la modernità e la critica hanno paura della parola "bellezza".
Il termine è infatti da un lato molto banalizzato, dall'altro richiederebbe addirittura l'obbligo di scomodare l'Estetica, un settore portante della Filosofia…
Eppure spesso, come davanti a queste foto, sono sufficienti il coraggio e la sincerità, la voglia insomma di abbandonarsi al piacere dello sguardo per accogliere l'idea della bellezza. Fermare l'attimo che fugge, appropriarsi del bello che trascorre, che proprio è bello perché trascorre, e allora cercare, con tutte le forze e la tecnica, di fissare il momento per intascare un'immagine imperdibile e struggente.
I fiori e la farfalla, la fotografia, cioè il disegno della luce.
Brenda Bacigalupo
L’ESSERE E L’APPARIRE
Come succede spesso ai fotografi professionisti che con le immagini convivono quotidianamente, Antonella Pizzamiglio coltiva nel suo privato una ricerca caratterizzata da forti e originali connotazioni espressive. Per un verso l’autrice mostra quella sicurezza che è propria di chi sa dominare la tecnica per piegarla alle sue esigenze creative, per l’altro una curiosità e un coraggio che la spingono a indagare fin nei meandri del linguaggio fotografico. Per capire davvero un autore è indispensabile osservare dove lavora perché è impossibile che non vi abbia lasciato tracce del suo essere più profondo. Apparentemente lo studio di Antonella Pizzamiglio – ampio, luminoso, dotato di ogni tipo di accorgimento per consentire di allestire i set più diversi – è soprattutto funzionale. In realtà, se osservato meglio, rivela strani angoli, impreviste prospettive, armadi misteriosi, porte intarsiate: è, insomma, un luogo misterioso come tutti quelli al cui interno si crea. In effetti, tutte le fotografie che l’autrice ci propone sono spiazzanti e un po’ magiche perché, pur riprendendo aspetti della realtà con cui abbiamo quotidianamente a che fare, ce li propone in un modo totalmente diverso facendone emergere una diversa intima natura. Basta spostare un libro, aprirlo per farne attraversare le pagine dalla luce, osservarlo con un ardito angolo di visuale ed ecco che il parallelo suggerito dal titolo, quello con una libellula, diventa improvvisamente plausibile. Il ricorso al bianconero e alle riprese ravvicinate consente alla fotografa di muoversi con scarti visionari così è più facile pensare alla complessità di un microcosmo interstellare che alla superficie tormentata di un cavolfiore, più spontaneo immaginare di essere di fronte a un dirupo che riconoscere la pelle corrugata di un piede. Quando, invece, utilizza la Polaroid, Antonella Pizzamiglio ne indaga soprattutto la superficie: talvolta, manipolandola in modo da sottolineare alcuni contorni con un esito quasi tridimensionale, ottiene esiti di garbata ironia come nella serie sulle parole scritte, dettate, trasmesse, affisse. Ma quando la ricerca si fa più serrata come in “Ante la Foto” quella stessa superficie diviene il punto di confronto fra il passato e il presente, lo spazio su cui la luce fa sentire la sua presenza con segni decisi come graffi e non importa se siano acquisiti da un pellicola a sviluppo immediato come è, o da un’antica lastra come può sembrare. Dopo questo lungo viaggio verso il superamento dell’immediatezza realistica, la fotografa si sofferma sulla natura ma anche in questo caso il suo tocco è lieve quanto magico. Fiori e foglie sono attraversati da un’intima vibrazione e questa si trasmette alle fotografie come le volesse spingere ad uscire dai confini fisici in cui sono costrette per raggiungere un imprecisato luogo dove l’essere e l’apparire possano infine riconoscersi come aspetti di un’identica realtà.
Roberto Mutti